Sin dal Medioevo Gorizia ha rappresentato un importante polo commerciale per il territorio che dalle Valli dell’Isonzo e Vipacco (Vipava) si estendeva fino al Collio e alla Bassa Friulana.
Quando nel 1947 venne tracciata la linea di demarcazione ai bordi della città, il suo entroterra (la Severna Primorska – Litorale settentrionale) venne tagliato fuori dal proprio centro amministrativo di riferimento. Il confine italo-jugoslavo, che per ragioni politiche era inizialmente difficile da attraversare, divenne tra il 1947 e 1955 invalicabile, tranne per gli agricoltori proprietari di fondi e per alcuni rari casi.
Molte persone persero ogni contatto con i propri familiari che si ritrovarono dall’altra parte del confine. Il 13 agosto 1950 gli sloveni oltrepassarono in massa la frontiera per riversarsi nelle vie cittadine. In poche ore comprarono nei negozi, le cui saracinesche vennero alzate in tutta fretta, i beni non rinvenibili in Jugoslavia, tra cui anche le scope in saggina. Protagoniste di quella domenica furono proprio le scope che per un giorno spazzarono via il confine.
Con l’allentamento delle tensioni politiche si attenuarono anche le limitazioni per valicare il confine. Verso la fine degli anni Cinquanta i flussi commerciali diventarono sempre più vivaci; gli sloveni venivano a Gorizia per comprare i beni che non si trovavano sugli scaffali dei negozi socialisti, mentre i goriziani si recavano in Jugoslavia per rifornirsi di benzina e cibo a prezzi più economici. Così come frotte di sloveni invadevano la via Rastello per fare acquisti, i clienti italiani riempivano i ristoranti e le trattorie d’oltre confine. Con la frontiera diventata ormai permeabile, la popolazione ha avuto modo di mantenere in vita i legami con il territorio che per secoli aveva fatto parte dello stesso contesto quotidiano.