Boris Pahor e Trieste sono praticamente entità inseparabili, poiché Pahor ha ambientato la maggior parte delle sue opere nella “Città nel golfo” (1955), come ha intitolato uno dei suoi primi romanzi.
Nelle sue opere letterarie, infatti, è sempre presente un importante fil rouge autobiografico che ci guida attraverso i labirinti della storia del XX secolo. Tra i passaggi più noti e citati su Trieste c’è sicuramente la descrizione dell’incendio del Narodni dom, che il piccolo Boris Pahor, all’epoca non ancora settenne, visse da vicino alla sua casa. La raccolta di novelle “Il rogo nel porto” (1959) è così diventata un monumento alle difficoltà degli sloveni di Trieste e inn generale alla loro vita di quell’epoca.
Successivamente, in “Oscuramento” (1975), ci accompagna attraverso l’atmosfera opprimente del coprifuoco durante l’occupazione tedesca, quando, dopo la capitolazione dell’Italia nel settembre del 1943, torna nella sua città natale e si unisce al Fronte di liberazione. Pahor ha descritto le torture subite insieme ad altri sloveni in una cella sotto Piazza Oberdan, un luogo che fino ad allora la memoria collettiva triestina associava solo all’esecuzione dell’irredentista italiano di origine slovena.
Quando Pahor tornò a Trieste dopo l’esperienza del campo di concentramento e la riabilitazione, si trovò “Dentro il labirinto” (1984) della confusione personale e della situazione politica del dopoguerra, alla quale reagì sempre con saggi incisivi e interventi appassionati.