Il paese di Basovizza viene spesso citato nei media o nei testi storici, in relazione a Trieste e al periodo pre e postbellico, non per essere dipinto come una ridente cittadina carsica bensì per i diversi eventi correlati.
Alla comunità nazionale slovena il nome del paese richiama alla mente il Monumento dedicato agli eroi di Basovizza, mentre la componente italiana ricorda la Foiba di Basovizza.
Il Monumento dedicato agli eroi di Basovizza
A est di Basovizza si estende la radura al centro della quale si erge il monumento dedicato agli eroi di Basovizza. Qui vennero fucilati quattro esponenti dell’organizzazione segreta Borba, responsabili dell’attentato del 10 febbraio al quotidiano Il Popolo di Trieste, che aveva spesso pubblicato articoli contro le minoranze slovena e croata.
Nella sede del giornale collocarono infatti un ordigno esplosivo vicino alle rotative facendo crollare una porzione di muro che investì un giornalista rimasto in redazione fino a tarda sera. L’eco dell’attentato si diffuse in tutto il territorio nazionale, al contempo venne aperta un’estesa indagine in merito.
Il caso fu il motivo in ragione del quale si decise di spostare da Roma a Trieste il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, istituto con una delle cosiddette “leggi fascistissime” per giudicare i reati contro la sicurezza dello Stato e del regime fascista, segnatamente le azioni dei movimenti antifascisti. Collocato nel settembre del 1945, il monumento ai quattro eroi di Basovizza rappresenta il simbolo delle prime forme di resistenza civile alla violenza fascista.
La Foiba di Basovizza
A ovest della menzionata radura si trova la voragine denominata Foiba di Basovizza che, a differenza delle restanti formazioni naturali carsiche, è un pozzo di una vecchia miniera abbandonata che venne in seguito utilizzata come discarica (Ndt. la popolazione slovena lo chiama šoht, dal tedesco Schacht pozzo). La zona nelle vicinanze della foiba è stata, negli ultimi giorni dell’aprile del 1945, teatro di combattimenti tra l’esercito tedesco e l’armata jugoslava al termine dei quali vennero gettati nella voragine i corpi di alcuni soldati tedeschi caduti.
Il 1° maggio 1945 le forze alleate, guidate dall’esercito jugoslavo, entrarono a Trieste. La popolazione di lingua italiana della Venezia Giulia visse l’occupazione jugoslava come il periodo più cupo della propria storia, in ragione anche dell’ondata di violenza che si scatenò a Trieste, Gorizia e Capodistria. Vennero infatti arrestate diverse migliaia di persone, principalmente italiani ma anche sloveni, che si opposero al disegno politico promosso dalla Jugoslavia comunista.
Dopo il ritiro delle truppe jugoslave da Trieste, avvenuto il 12 giugno, gli alleati autorizzarono anche i primi sondaggi nel pozzo, all’interno del quale vennero rinvenute principalmente le salme di soldati tedeschi e cavalli. La documentazione relativa alle rilevazioni venne pubblicata soltanto nel 1995. Nel 1992 il sito è diventato monumento nazionale, successivamente riqualificato e ricoperto con una grande lastra nel 2007.
Entrambi i siti, che si trovano per caso a breve distanza, ricoprono un rilevante significato simbolico. Con il desiderio di superare i dissensi facendo un passo in avanti sulla strada della riconciliazione il 13 luglio 2020, in occasione del centesimo anniversario dell’incendio del Narodni dom, i presidenti della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, hanno reso omaggio ai due monumenti.